1 marzo 2014

Innovazione tecnologica. La chiave per aprire la porta dei mercati esteri.

Il progresso tecnologico, per l’accesso nei mercati stranieri, può risultare una strategia competitiva di successo, preferibile magari a quella di un prezzo basso. Innovare però significa accettare una sfida: essere vincitori o vinti. 
Affronto questo importante tema, richiamando in parte il pensiero dell’economista austriaco Joseph Schumpeter.

Scritto da Pasquale Canu

Quando ci rivolgiamo ai mercati esteri, occorre sempre osservare il livello di concorrenza che i nostri prodotti si troverebbero a dover fronteggiare. E’ infatti di ovvia e vitale importanza chiedersi se i prodotti che intendiamo offrire in un determinato paese straniero siano già commercializzati da produttori interni di quel paese o se produttori esteri nel corso del tempo abbiano già consolidato la loro presenza in quello stesso paese.
Se così fosse, questo scenario potrebbe per noi rappresentare una barriera in ingresso molto alta da sormontare, con un alto rischio di insuccesso della nostra azione commerciale, poiché, difatti, ci troveremo di fronte ad un mercato molto ostile e aggressivo, abitato da imprese locali che meglio di noi conoscono il “terreno” e che sanno come muoversi adeguatamente, senza poi contare sul fatto che hanno già da tempo guadagnato la fiducia e la popolarità da parte dei consumatori.
Presentandoci in un contesto del genere, senza qualcosa di diverso o qualitativamente migliore da proporre, potrebbe per noi rivelarsi una situazione sconveniente.
Tuttavia, offrire all’estero un prodotto senza caratteristiche di unicità, sappiamo che non è del tutto impossibile, però saremo probabilmente costretti in prima battuta a puntare su una strategia di prezzo, immettendo i nostri beni ad un prezzo basso al fine di penetrare con maggiore efficacia il mercato del paese estero. In questo caso, nondimeno, potrebbero ritorcerci contro questioni che prima o poi dovremo affrontare, prima fra tutte la struttura dei costi della nostra azienda e i costi dell’export in senso stretto, che tra trasporti, viaggi, eventuali dazi e tasse doganali, personale specializzato e quant’altro, c’è da farsi venire le vertigini e da chiederci, uno, se il prezzo che vogliamo applicare per inserirci in un nuovo mercato, sia sufficiente per remunerare il nostro investimento entro i termini che ci vogliamo prefissare e, due, se in una prospettiva di medio periodo, ciò non conduca ad un logoramento della nostra posizione, anziché ad una nostra affermazione.
Un basso prezzo potrebbe poi ingenerare nei potenziali acquirenti l’idea che il nostro prodotto sia di bassa qualità. Vogliamo dunque presentarci con questo biglietto da visita?
Quale può dunque diventare il nostro miglior cliché per affrontare con più coraggio e maggior possibilità di successo i mercati esteri, senza necessariamente dover affilare le armi per una guerra di prezzo, ma poter invece ottimizzare il nostro mark-up?