Il
progresso tecnologico, per l’accesso nei mercati stranieri, può risultare una
strategia competitiva di successo, preferibile magari a quella di un prezzo
basso. Innovare però significa accettare una sfida: essere vincitori o vinti.
Affronto questo importante tema, richiamando in parte il pensiero dell’economista austriaco Joseph Schumpeter.
Affronto questo importante tema, richiamando in parte il pensiero dell’economista austriaco Joseph Schumpeter.
Scritto da Pasquale Canu
Quando
ci rivolgiamo ai mercati esteri, occorre sempre osservare il livello di
concorrenza che i nostri prodotti si troverebbero a dover fronteggiare. E’
infatti di ovvia e vitale importanza chiedersi se i prodotti che intendiamo
offrire in un determinato paese straniero siano già commercializzati da
produttori interni di quel paese o se produttori esteri nel corso del tempo
abbiano già consolidato la loro presenza in quello stesso paese.
Se
così fosse, questo scenario potrebbe per noi rappresentare una barriera in
ingresso molto alta da sormontare, con un alto rischio di insuccesso della
nostra azione commerciale, poiché, difatti, ci troveremo di fronte ad un
mercato molto ostile e aggressivo, abitato da imprese locali che meglio di noi
conoscono il “terreno” e che sanno come muoversi adeguatamente, senza poi
contare sul fatto che hanno già da tempo guadagnato la fiducia e la popolarità
da parte dei consumatori.
Presentandoci
in un contesto del genere, senza qualcosa di diverso o qualitativamente migliore
da proporre, potrebbe per noi rivelarsi una situazione sconveniente.
Tuttavia,
offrire all’estero un prodotto senza caratteristiche di unicità, sappiamo che
non è del tutto impossibile, però saremo probabilmente costretti in prima
battuta a puntare su una strategia di prezzo, immettendo i nostri beni ad un prezzo
basso al fine di penetrare con maggiore efficacia il mercato del paese estero.
In questo caso, nondimeno, potrebbero ritorcerci contro questioni che prima o
poi dovremo affrontare, prima fra tutte la struttura dei costi della nostra
azienda e i costi dell’export in senso stretto, che tra trasporti, viaggi,
eventuali dazi e tasse doganali, personale specializzato e quant’altro, c’è da
farsi venire le vertigini e da chiederci, uno, se il prezzo che vogliamo
applicare per inserirci in un nuovo mercato, sia sufficiente per remunerare il
nostro investimento entro i termini che ci vogliamo prefissare e, due, se in
una prospettiva di medio periodo, ciò non conduca ad un logoramento della
nostra posizione, anziché ad una nostra affermazione.
Un
basso prezzo potrebbe poi ingenerare nei potenziali acquirenti l’idea che il
nostro prodotto sia di bassa qualità. Vogliamo dunque presentarci con questo
biglietto da visita?
Quale
può dunque diventare il nostro miglior cliché per affrontare con più coraggio e
maggior possibilità di successo i mercati esteri, senza necessariamente dover
affilare le armi per una guerra di prezzo, ma poter invece ottimizzare il
nostro mark-up?