20 maggio 2014

Fiscalità internazionale. Quali direzioni seguire.


Il tema della tassazione internazionale è tanto fondamentale quanto complesso da comprendere e da applicare. In maniera semplice ed esaustiva, affrontiamo questo argomento con Daniele Lorenzini, Dottore Commercialista e Revisore Legale, nonché titolare dell’omonimo studio di consulenza aziendale. Dal 1987 si occupa specificatamente di fiscalità internazionale e dei processi di internazionalizzazione delle imprese, accostando contemporaneamente la sua attività di docente presso numerosi enti di formazione in tutta Italia.   

Intervista a cura di Pasquale Canu

Gli operatori economici ed in particolar modo le imprese, spesso e volentieri, sfruttando la globalizzazione, effettuano le loro scelte considerando la fiscalità del proprio Paese rispetto a quelle di altri Paesi, al fine di ricercare e di ottenere una maggiore convenienza, che può risultare decisiva per accrescere il proprio vantaggio competitivo e i propri utili. A tal proposito, dal punto di vista tributario, cosa occorre sapere quando ci si affaccia ai mercati esteri? Ci puoi esporre i pro e i contro?

Il mercato estero può rappresentare una grande opportunità ma se non ben conosciuto rischia di rappresentare un dedalo di difficoltà, poco o per nulla ravvisabili nella progettazione dell’investimento. Quello che viene regolamentato dalla fiscalità internazionale attiene a qualunque questione utile ad una persona fisica o ad una società. Muovendosi nell’ambito del diritto tributario si nota come i legislatori abbiano inteso coprire e chiarire di volta in volta temi e tematiche in continuo aggiornamento. E’ utile a tal proposito attenersi rigidamente a tali dettami perché labile è il confine che separa le attività lecite da quelle che potrebbero essere interpretate come illecite. Si può citare a titolo di esempio la distinzione intercorrente tra elusione ed evasione fiscale. Per quest’ultima vale il principio della intenzionalità mentre sull’elusione il discorso è di più difficile definizione. Si prevede per essa, infatti, la limitazione o la riduzione dell’obbligazione fiscale mediante l’utilizzo di misure che sono al limite della legalità o che vanno oltre le intenzioni del legislatore. Ancora di più difficile distinzione si parla se a queste due si affianca l’attività da cui queste indirettamente derivano, cioè la pianificazione fiscale internazionale che è realizzata attraverso la gestione della produzione ed allocazione del reddito, attività totalmente legali.
Un altro esempio riguarda il commercio elettronico, che in correlazione con l’IVA, pone dei seri problemi di individuazione in merito agli adempimenti fiscali.    


Un importante principio che sta alla base della fiscalità internazionale, è quello dell’uguaglianza, ossia l’applicazione dello stesso trattamento fiscale tra Paesi diversi. Questo principio è sempre rispettato?

Il concetto di uguaglianza è inserito all’interno di un principio dal senso più ampio, quello di equità. Quest’ultimo racchiude in sé oltre all’uguaglianza anche il principio della capacità contributiva, vale a dire un’equa distribuzione dell’imposizione fiscale tra i vari contribuenti.
Esistono delle eccezioni al principio di uguaglianza ravvisabili in molteplici casi tra cui val la pena citare a titolo di esempio, la doppia imposizione di tipo economico e giuridico, la violazione della neutralità nelle operazioni di importazione od esportazione di capitali, l’imposizione di un’aliquota d’imposta più elevata il riconoscimento di incentivi fiscali o varie misure volte ad attrarre imprese, gli obblighi numericamente maggiori a carico di stabili organizzazioni di soggetti stranieri.
Nell’ambito dell’uguaglianza, l’Unione Europea sta premendo per un’armonizzazione fiscale in ambito comunitario che coordini i regimi fiscali dei vari Paesi europei, al fine di evitare la concorrenza tra le politiche fiscali nazionali, considerata spesso tra le maggiori cause di ostacolo al mercato interno.
Tale processo è tuttavia di difficile realizzazione, poiché non sarà facile accomunare tutti i 27 Paesi dell’Unione. L’accordo sinora raggiunto si rifà ad un livello minimo di armonizzazione relativamente all’IVA,  che impone un'aliquota minima del 15% su tutti i prodotti a meno di particolari condizioni od autorizzazioni.


Fiscalità internazionale può anche voler dire poter essere soggetti a sanzioni in caso di errori. Che cosa significa e cosa può comportare sbagliare fiscalmente in un Paese straniero?

Nel caso in cui si dovessero verificare errori di qualunque genere per dolo o colpa si può incorrere in considerevoli problemi in base al Paese in cui tale violazione è avvenuta.
Basti pensare al reato di falso in bilancio negli Stati Uniti e delle pesanti condanne derivanti nel “caso Enron” o ai reati di evasione fiscale ravvisabili in Paesi quali Russia e Cina.
La Russia sta implementando i propri sistemi anti evasione attraverso la tracciabilità delle transazioni al fine di debellare il fenomeno delle transazioni in nero, che in Russia corrisponde all’incirca al 15-20% del PIL, e laddove si dovesse ravvisare tale violazione, si potrebbe incorrere in una pesante condanna carceraria.
In Cina invece è prevista addirittura la pena di morte, secondo il codice penale attualmente vigente.

Chi intrattiene rapporti commerciali e di lavoro con l’estero, rischia di vedersi applicare una doppia imposizione fiscale, con il proprio reddito tassato due volte, sia dalla legislazione interna del proprio Paese che da quella del Paese estero dove ha maturato il reddito. Come si può evitare la duplicazione del carico fiscale, sulla base degli accordi e dei trattati internazionali? In che senso sta andando la risoluzione di questo problema?

La maggior parte delle Convenzioni Internazionali, in materia di doppia imposizione, ha natura bilaterale. L’Italia, ad esempio, ha stipulato numerosi accordi bilaterali, e se ne contano 89 al luglio del 2013. Esse si aggiungono alle norme interne in materia ed hanno il potere di modificare l’efficacia di queste ultime o di escluderle secondo il principio “lex superior derogat legi inferiori”. Il diritto convenzionale in tal senso chiarisce gli ambiti di applicazione derivanti, per la maggior parte dei casi, dal Modello di Convenzione dell’OCSE in materia di doppia imposizione giuridica. Un ulteriore Modello di riferimento è rappresentato dalla Convenzione elaborata in ambito ONU.
Le soluzioni adottate all’interno dell’accordo OCSE riguardano:

1-   La cosiddetta “doppia residenza”, la quale prevede che una persona sia fiscalmente residente in entrambi i Paesi. La questione è regolata dall’Articolo 4 della Convenzione OCSE che dà una definizione di soggetto residente;
2-     Il reddito e/o patrimonio che una persona residente in uno Stato parte della Convenzione ha in uno Stato estero. In tal senso interviene in supporto l’articolo 23 della Convenzione OCSE attraverso due principi:

·         Principio del credito d’imposta, lo Stato di residenza calcola l’imposta sulla base del reddito complessivo incluso quello tassabile nell’altro Stato e concede successivamente una detrazione per le imposte versate nell’altro Stato.
·          Principio dell’esenzione: lo Stato di residenza non tassa il reddito e/o il patrimonio tassabile nello Stato della fonte.

Qual è secondo te l’aggiornamento normativo di diritto tributario internazionale degli ultimi tempi a cui bisogna dare primaria importanza?

Si possono sicuramente considerare il Transfer Pricing e l’Esterovestizione.
Il Transfer Pricing è stato regolamentato da un provvedimento dell’Agenzia delle Entrate emanato il 29 Settembre 2010 in merito alla documentazione necessaria alle imprese per fruire di un regime di esonero dalle sanzioni. Il transfer pricing è costituito da un insieme di tecniche e di procedimenti adottati dalle imprese multinazionali. A tal fine servono per la formazione dei prezzi relativi alle compravendite di beni ed alle prestazioni di servizi tra società in Stati differenti appartenenti allo stesso Gruppo.
L’Esterovestizione è invece regolata dall’Articolo 73 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) e si rivolge alle società che formalmente non sono residenti in un dato Paese, ma che di fatto in quel Paese operano. Il fine di tale meccanismo è di portare redditi provenienti da altri Paesi e trasferirli nel Paese in cui la società ha la sede.

Cambiare vita: i paradisi fiscali. Essi sono dei territori caratterizzati da un regime fiscale privilegiato. Ce li puoi descrivere e da dove e quando trovano origine?

L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) chiarisce le caratteristiche proprie dei Paradisi o per meglio dire dei Rifugi Fiscali “Tax havens”, nonché dei regimi fiscali preferenziali dannosi “Harmful preferential tax regimes” con un rapporto pubblicato nel 1998.
I primi sono caratterizzati dall’assenza di imposizione fiscale, dalla mancanza di informazioni fiscali del Paese “rifugio” con gli altri Paesi, da una mancanza di trasparenza dell’apparato amministrativo, dalla non effettiva attività in quel determinato Paese di azioni commerciali o industriali col solo scopo del risparmio fiscale.
I secondi invece hanno un’aliquota dell’imposizione fiscale molto bassa o addirittura assente, mancanza di trasparenza e di scambio di informazioni, tassazione con ampia disparità tra i redditi generati da soggetti residenti o meno oppure a seconda dell’investimento effettuato in quel dato Paese.
Si può far risalire l’origine dei Tax Havens ai primi dell’800, in particolare a seguito di due eventi principali: la neutralità della Svizzera stabilita nel 1815 con la Convenzione di Vienna e il regime fiscale preferenziale instaurato da New Jersey e Delaware nel 1820 per attrarre investimenti oltreoceano. Nel corso di quasi due secoli ad essi si sono aggiunti numerosi altri casi e la lista che racchiude alcuni tra i Paesi in cui è in vigore un regime fiscale preferenziale è stata redatta dall’OCSE ed è chiamata black list, un elenco contenente Paesi che non si sono uniformati agli standard fiscali internazionali.

Paradisi fiscali a parte, per via dell’entità degli scambi commerciali sempre più crescenti, risultano importanti le conoscenze sugli aspetti fiscali di Stati quali gli USA, la Russia, la Cina, gli Emirati Arabi, il Brasile e qualche altro ancora. Però noi italiani, per quale motivo dovremo dare maggiore considerazione alla Tunisia? Che cosa la contraddistingue e quali vantaggi sono sottesi ad essa? E’ un Paese sicuro?

Secondo dati della Banca Mondiale la Tunisia, all’inizio del 2014, sta affrontando un periodo di rinnovata ripresa dovuta al superamento dello stallo politico, all’adozione di una nuova Costituzione e alla nomina di un governo stabile.
Nel biennio 2013-2014 la strategia del Paese è stata dettata da una Dichiarazione di intenti (Interim Strategy Note) sostenuta dalla stessa Banca Mondiale e che prevede per la fine del 2014 un investimento massiccio ed un forte rinnovamento politico ed economico.
Sono previste una lunga serie di interventi relativi a rinnovamenti infrastrutturali che rappresentano per i Paesi europei, e nel caso specifico dell’Italia, una grande occasione.  La Tunisia è inoltre, uno dei Paesi con i quali l’Italia ha firmato e poi ratificato nel 1981 una Convenzione di natura bilaterale relativa alla doppia imposizione fiscale.






Nessun commento:

Posta un commento