Il
tema della tassazione internazionale è tanto fondamentale quanto complesso da
comprendere e da applicare. In maniera semplice ed esaustiva, affrontiamo
questo argomento con Daniele Lorenzini, Dottore Commercialista e Revisore
Legale, nonché titolare dell’omonimo studio di consulenza aziendale. Dal 1987
si occupa specificatamente di fiscalità internazionale e dei processi di internazionalizzazione
delle imprese, accostando contemporaneamente la sua attività di docente presso
numerosi enti di formazione in tutta Italia.
Intervista
a cura di Pasquale Canu
Gli operatori
economici ed in particolar modo le imprese, spesso e volentieri, sfruttando la
globalizzazione, effettuano le loro scelte considerando la fiscalità del
proprio Paese rispetto a quelle di altri Paesi, al fine di ricercare e di ottenere
una maggiore convenienza, che può risultare decisiva per accrescere il proprio
vantaggio competitivo e i propri utili. A tal proposito, dal punto di vista
tributario, cosa occorre sapere quando ci si affaccia ai mercati esteri? Ci
puoi esporre i pro e i contro?
Il
mercato estero può rappresentare una grande opportunità ma se non ben
conosciuto rischia di rappresentare un dedalo di difficoltà, poco o per nulla
ravvisabili nella progettazione dell’investimento. Quello che viene
regolamentato dalla fiscalità internazionale attiene a qualunque questione
utile ad una persona fisica o ad una società. Muovendosi nell’ambito del
diritto tributario si nota come i legislatori abbiano inteso coprire e chiarire
di volta in volta temi e tematiche in continuo aggiornamento. E’ utile a tal
proposito attenersi rigidamente a tali dettami perché labile è il confine che
separa le attività lecite da quelle che potrebbero essere interpretate come
illecite. Si può citare a titolo di esempio la distinzione intercorrente tra
elusione ed evasione fiscale. Per quest’ultima vale il principio della
intenzionalità mentre sull’elusione il discorso è di più difficile definizione.
Si prevede per essa, infatti, la limitazione o la riduzione dell’obbligazione
fiscale mediante l’utilizzo di misure che sono al limite della legalità o che
vanno oltre le intenzioni del legislatore. Ancora di più difficile distinzione
si parla se a queste due si affianca l’attività da cui queste indirettamente
derivano, cioè la pianificazione fiscale internazionale che è realizzata
attraverso la gestione della produzione ed allocazione del reddito, attività
totalmente legali.
Un
altro esempio riguarda il commercio elettronico, che in correlazione con l’IVA,
pone dei seri problemi di individuazione in merito agli adempimenti fiscali.
Un importante
principio che sta alla base della fiscalità internazionale, è quello dell’uguaglianza, ossia l’applicazione dello stesso
trattamento fiscale tra Paesi diversi. Questo principio è sempre rispettato?
Il
concetto di uguaglianza è inserito all’interno di un principio dal senso più
ampio, quello di equità. Quest’ultimo
racchiude in sé oltre all’uguaglianza anche il principio della capacità
contributiva, vale a dire un’equa distribuzione dell’imposizione fiscale tra i
vari contribuenti.
Esistono
delle eccezioni al principio di uguaglianza ravvisabili in molteplici casi tra
cui val la pena citare a titolo di esempio, la doppia
imposizione di tipo economico e giuridico, la violazione della neutralità nelle
operazioni di importazione od esportazione di capitali, l’imposizione di un’aliquota
d’imposta più elevata il riconoscimento di incentivi fiscali o varie misure
volte ad attrarre imprese, gli obblighi numericamente maggiori a carico di
stabili organizzazioni di soggetti stranieri.
Nell’ambito
dell’uguaglianza, l’Unione Europea sta premendo per un’armonizzazione fiscale
in ambito comunitario che coordini i regimi fiscali dei vari Paesi europei, al
fine di evitare la concorrenza tra le politiche fiscali nazionali, considerata spesso
tra le maggiori cause di ostacolo al mercato interno.
Tale
processo è tuttavia di difficile realizzazione, poiché non sarà facile
accomunare tutti i 27 Paesi dell’Unione. L’accordo sinora raggiunto si rifà ad un
livello minimo di armonizzazione relativamente all’IVA, che impone un'aliquota minima del 15% su tutti
i prodotti a meno di particolari condizioni od autorizzazioni.
Fiscalità
internazionale può anche voler dire poter essere soggetti a sanzioni in caso di
errori. Che cosa significa e cosa può comportare sbagliare fiscalmente in un Paese straniero?
Nel
caso in cui si dovessero verificare errori di qualunque genere per dolo o colpa
si può incorrere in considerevoli problemi in base al Paese in cui tale violazione
è avvenuta.
Basti
pensare al reato di falso in bilancio negli Stati Uniti e delle pesanti
condanne derivanti nel “caso Enron” o ai reati di evasione fiscale ravvisabili
in Paesi quali Russia e Cina.
La
Russia sta implementando i propri sistemi anti evasione attraverso la
tracciabilità delle transazioni al fine di debellare il fenomeno delle
transazioni in nero, che in Russia corrisponde all’incirca al 15-20% del PIL, e
laddove si dovesse ravvisare tale violazione, si potrebbe incorrere in una
pesante condanna carceraria.
In
Cina invece è prevista addirittura la pena di morte, secondo il codice penale
attualmente vigente.
Chi intrattiene
rapporti commerciali e di lavoro con l’estero, rischia di vedersi applicare una
doppia imposizione fiscale, con il proprio reddito tassato due volte, sia dalla
legislazione interna del proprio Paese che da quella del Paese estero dove ha
maturato il reddito. Come si può evitare la duplicazione
del carico fiscale, sulla base degli accordi e dei trattati internazionali? In
che senso sta andando la risoluzione di questo problema?
La
maggior parte delle Convenzioni Internazionali, in materia di doppia
imposizione, ha natura bilaterale. L’Italia, ad esempio, ha stipulato numerosi
accordi bilaterali, e se ne contano 89 al luglio del 2013. Esse si aggiungono
alle norme interne in materia ed hanno il potere di modificare l’efficacia di
queste ultime o di escluderle secondo il principio “lex superior derogat legi inferiori”. Il diritto convenzionale in
tal senso chiarisce gli ambiti di applicazione derivanti, per la maggior parte
dei casi, dal Modello di Convenzione dell’OCSE in materia di doppia imposizione
giuridica. Un ulteriore Modello di riferimento è rappresentato dalla
Convenzione elaborata in ambito ONU.
Le
soluzioni adottate all’interno dell’accordo OCSE riguardano:
1- La
cosiddetta “doppia residenza”, la
quale prevede che una persona sia fiscalmente residente in entrambi i Paesi. La
questione è regolata dall’Articolo 4 della Convenzione OCSE che dà una
definizione di soggetto residente;
2-
Il
reddito e/o patrimonio che una persona residente in uno Stato parte della
Convenzione ha in uno Stato estero. In tal senso interviene in supporto
l’articolo 23 della Convenzione OCSE attraverso due principi:
· Principio
del credito d’imposta, lo Stato di
residenza calcola l’imposta sulla base del reddito complessivo incluso quello
tassabile nell’altro Stato e concede successivamente una detrazione per le
imposte versate nell’altro Stato.
·
Principio
dell’esenzione: lo Stato di residenza
non tassa il reddito e/o il patrimonio tassabile nello Stato della fonte.
Qual è secondo te
l’aggiornamento normativo di diritto tributario internazionale degli ultimi
tempi a cui bisogna dare primaria importanza?
Si
possono sicuramente considerare il Transfer
Pricing e l’Esterovestizione.
Il
Transfer Pricing è stato regolamentato da un provvedimento dell’Agenzia delle
Entrate emanato il 29 Settembre 2010 in merito alla documentazione necessaria
alle imprese per fruire di un regime di esonero dalle sanzioni. Il transfer
pricing è costituito da un insieme di tecniche e di procedimenti adottati dalle
imprese multinazionali. A tal fine servono per la formazione dei prezzi
relativi alle compravendite di beni ed alle prestazioni di servizi tra società
in Stati differenti appartenenti allo stesso Gruppo.
L’Esterovestizione
è invece regolata dall’Articolo 73 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui
Redditi) e si rivolge alle società che formalmente non sono residenti in un
dato Paese, ma che di fatto in quel Paese operano. Il fine di tale meccanismo è
di portare redditi provenienti da altri Paesi e trasferirli nel Paese in cui la
società ha la sede.
Cambiare vita: i
paradisi fiscali. Essi sono dei territori
caratterizzati da un regime fiscale privilegiato. Ce li puoi descrivere
e da dove e quando trovano origine?
L’Organizzazione
per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) chiarisce le caratteristiche
proprie dei Paradisi o per meglio dire dei Rifugi Fiscali “Tax havens”, nonché dei regimi fiscali preferenziali dannosi “Harmful preferential tax regimes” con un
rapporto pubblicato nel 1998.
I
primi sono caratterizzati dall’assenza di imposizione fiscale, dalla mancanza
di informazioni fiscali del Paese “rifugio” con gli altri Paesi, da una
mancanza di trasparenza dell’apparato amministrativo, dalla non effettiva
attività in quel determinato Paese di azioni commerciali o industriali col solo
scopo del risparmio fiscale.
I
secondi invece hanno un’aliquota dell’imposizione fiscale molto bassa o
addirittura assente, mancanza di trasparenza e di scambio di informazioni, tassazione
con ampia disparità tra i redditi generati da soggetti residenti o meno oppure
a seconda dell’investimento effettuato in quel dato Paese.
Si
può far risalire l’origine dei Tax Havens ai primi dell’800, in particolare a
seguito di due eventi principali: la neutralità della Svizzera stabilita nel
1815 con la Convenzione di Vienna e il regime fiscale preferenziale instaurato
da New Jersey e Delaware nel 1820 per attrarre investimenti oltreoceano. Nel
corso di quasi due secoli ad essi si sono aggiunti numerosi altri casi e la
lista che racchiude alcuni tra i Paesi in cui è in vigore un regime fiscale
preferenziale è stata redatta dall’OCSE ed è chiamata black list, un elenco contenente Paesi che non si sono uniformati
agli standard fiscali internazionali.
Paradisi fiscali a
parte, per via dell’entità degli scambi commerciali sempre più crescenti,
risultano importanti le conoscenze sugli aspetti fiscali di Stati quali gli
USA, la Russia, la Cina, gli Emirati Arabi, il Brasile e qualche altro ancora.
Però noi italiani, per quale motivo dovremo dare maggiore considerazione alla
Tunisia? Che cosa la contraddistingue e quali vantaggi sono sottesi ad essa? E’
un Paese sicuro?
Secondo
dati della Banca Mondiale la Tunisia, all’inizio del 2014, sta affrontando un
periodo di rinnovata ripresa dovuta al superamento dello stallo politico, all’adozione
di una nuova Costituzione e alla nomina di un governo stabile.
Nel
biennio 2013-2014 la strategia del Paese è stata dettata da una Dichiarazione
di intenti (Interim Strategy Note)
sostenuta dalla stessa Banca Mondiale e che prevede per la fine del 2014 un
investimento massiccio ed un forte rinnovamento politico ed economico.
Sono
previste una lunga serie di interventi relativi a rinnovamenti infrastrutturali
che rappresentano per i Paesi europei, e nel caso specifico dell’Italia, una
grande occasione. La Tunisia è inoltre, uno
dei Paesi con i quali l’Italia ha firmato e poi ratificato nel 1981 una
Convenzione di natura bilaterale relativa alla doppia imposizione fiscale.
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